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Il Sig.C.

Erano circa le tre di un Sabato mattina qualunque, quando il Sig. C. si congedò dal suo amico; Lui, naturalmente, non rispose al saluto perché russava già da un’ora steso sul divano con le ultime due note strette fra le dita.

Chiuse lentamente la porta dietro di se e, barcollando, scese le scale. Non che non fosse lucido, ma aveva la vaga impressione che qualcun altro, meccanicamente, eseguisse nel suo corpo i rituali del movimento: un passo e uno scalino dopo l’altro, poi due alla volta e ad occhi chiusi, “Per saggiare i riflessi” pensava, e poco ci mancò che non ci rimettesse il coccige all’ultimo scalino, interrompendo per un lunghissimo attimo la quiete ovattata di quella tromba di scale.

Uscito dal portone riconobbe senza esitazione la sua autovettura, diligentemente parcheggiata in doppia fila qualche metro più a destra, davanti ai cassonetti dell’immondizia: “Sarà mai che ci passino i vigili a quest’ora” si era detto prima di salire, e se li ritrovò assetati di multa, chini sul suo cofano, pronti a redigere un bel verbale per divieto di sosta e chiamare il carro attrezzi per la rimozione forzata; non avevano ancora iniziato a prendere il numero di targa, e questa fu la sua fortuna, perché letteralmente stupiti di come un catorcio del genere potesse ancora essere in circolazione: la multa, d’altronde avrebbe di gran lunga superato il valore della macchina.

Patente, libretto, triangolo, revisione, paternale ed un terzo grado in cui il Sig. C. dette il meglio di se in recitazione, rispolverando un repertorio di bugie degno del politico più navigato, impegnarono il trio negli interminabili minuti successivi all’incontro; un quarto d’ora e innumerevoli blablabla dopo il Sig. C. salì sul suo 126 con al frizione all’osso, fiero di avere abilmente risucchiato la contravvenzione dalla biro dei vigili.

In un attimo fu all’incrocio con il controviale di Corso Francia e svoltò a destra, direzione Piazza Statuto; quando arrivò all’incrocio con Corso Inghilterra eseguì un’impeccabile inversione ad “U” diretto verso la periferia: un po’ troppo stretta per essere sinceri, ma non ci fece molto caso.

Finalmente era sulla strada che lo avrebbe riportato a casa mentre la sonnolenza iniziava a socchiudere i suoi occhi: “Sarà quel mezzo chilo di riso alla cantonese di mezzanotte” borbottava, “…..O i quattro cordon bleu che abbiamo mangiato alle due…” dimenticandosi, nello stesso tempo, di aver arricciato e sbrinzato tutta la sera, bevendo birra casalinga per tamponare l’arsura.

Già, l’arsura…….sognava una fontana ad occhi aperti ma il primo semaforo non arrivava mai: verde, come i prati in primavera si stagliava di fronte a lui avvicinandosi sempre più di qualche centimetro ogni secondo, tanto quanto la frizione usurata concedeva. Da quando aveva svoltato non aveva ancora cambiato colore e il Sig. C. spingeva a tavoletta, 35 chilometri orari circa, perché voleva prenderlo verde: “E’ di buon auspicio” pensava, prossimo al traguardo.

“Ci siamo!” esclamò, mentre si accingeva ad attraversare solitario il primo incrocio, quand’ecco che dal profondo della periferia due fari minacciosi avanzavano, di gran carriera, sulla sua corsia: “Ma guarda sto coglione contromano!!! “ esclamò con un filo di voce, mentre pigiava freneticamente sul clacson, “E mi fa pure i fari!!!” iniziò a pensare senza avere il tempo di dare costrutto al pensiero perché i fari, all’improvviso, diventarono quattro, e poi sei, e poi tanti; seppure in uno stato semiconfusionale, il Sig. C. non impiegò molto a capire che il coglione non era l’angelo che aveva innanzi che scrupolosamente lo stava scortando a passo d’uomo, con le quattro frecce accese, in una trionfale retromarcia fino in Piazza Statuto………. Sul lato opposto della strada, alla fermata del bus direzione Rivoli, un gruppo d’increduli spettatori attendeva il Sig. C. per tributargli una personalissima standig ovation, ivi inclusa l’invasione della carreggiata stradale, brusca frenata dell’autovettura, pacche sul cofano e sul parabrezza e due note al volo.

Resettatosi e ricompostosi in una frazione di secondo, il Sig. C. riprese il suo cammino verso casa, ripensando all’accaduto e cercando di comprendere come quel semaforo avesse potuto ingannarlo così facilmente: come le Sirene non riuscirono nel loro intento con Ulisse, il Semaforo lo ammaliò con semplicità, facendo leva sul suo irrefrenabile desiderio di tornare a casa; “Anch’io ho avuto la mia Athena” concluse, mentre infilzava un verde dopo l’altro scrupolosamente attento, questa volta si, ai segnali stradali al colore dei semafori, il senso di marcia e la carreggiata imboccata.

Ma il fato decise che le sue coronarie, quella notte, non erano state sollecitate abbastanza e sul retrovisore dell’autovettura, materializzò due luci blu lampeggianti, accompagnate da un frastuono sempre più intenso col passare dei secondi: “Cazzo se circolano le voci!” pensò rallentando diligentemente all’avvicinarsi del successivo giallo, “E adesso che m’invento?”.

E il rosso arrivò, ed il Sig. C. fermò il suo automezzo lentamente un metro prima delle strisce pedonali; nell’attesa, preparò il libretto e la patente riponendoli sul sedile accanto ed aspettò: il verde, certo, ma anche l’evolversi degli eventi finché la snervante sosta ebbe fine, ed un ambulanza sfrecciò alla sua sinistra bruciando un rosso ormai sfiorito e portandosi appresso il sudore ed i tremolii del Sig. C., le sue ansie, i suoi timori e le sue paranoie. “Devo smetterla di giocare a scacchi” biascicò grattando fra la prima e la seconda, “Non riuscire a vincere mi rende ansioso……..”

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