Lacrime e pioggia

Cambiare radicalmente la tua vita a quarantatrè anni:

impensabile, impossibile, fattibile.

Abbandonare temporaneamente con un click la tua famiglia, le tue amicizie, i conoscenti, gli scettici, i disfattisti, gli increduli ed i dubbiosi, emarginare i delatori consolidando irapporti anche con chi di te ha visto solo una pic, ma quasi sa tutto di te ed è facile intuirne il perchè:

è una di quelle scelte imposte che a volte capitano nella nostra vita, la scelta di chi deve scegliere e non ha scelta;

è una di quelle situazioni che, emotivamente parlando, non vorrei consigliare a nessuno. Ma anche no.

Ricominciare tutto da capo, un’altra volta, l’ennesima, e rieducare il tuo cervello a sognare un futuro, avere delle ambizioni, pianificare, progettare con la mente lucida come solo le gratificazioni economiche riescono a rendere.

Può suonare stonato che un uomo dai quaranta passati, con un istruzione universitaria ed una pletora di esperienze lavorative in diversi settori ed a diversi livelli, decida improvvisamente di abbandonare la madepatria in vista del baratro occupazionale, ma non è così;

Senza scomodare i pionieri americani alla ricerca dell’Eldorado, basta pensare ai nostri connazionali colonizzatori delle Americhe nei primi del ‘900, alle comunità italiane in Australia, ai parenti comuni residenti in Germania, in Svizzera, in Francia, ai nostri minatori belgi e via discorrendo.

La mobilità lavorativa è da sempre quel fenomeno che muove migliaia di persone in tutto il mondo in cerca di un futuro migliore, ed è il desiderio di mobilità sociale il motore che spinge ogni individuo a voler consolidare e migliorare la propia posizione all’interno delle società in cui è inserito, sfruttando le competenze acquisite e l’istruzione ricevuta, costruendo il proprio futuro e quello della propria famiglia.

Ho lasciato un paese che, abbagliato dalla ricerca delle eccelenze, si è scordato dei più come me, che eccelenze non sono ma che molto potrebbero ancora dare alla propria nazione;

per ora sono un lavapiatti ed assistente in cucina nella periferia di Manchester, pagato molto di più del minimo salariale dove la generosità non ababbonda ma la meritocrazia non manca, anche se sei solo un Kitchen Porter come me.

Ho lasciato un paese in cui a trent’anni sei vecchio per il mercato del lavoro, a quaranta potresti essere troppo competente ed ai cinquanta esodato, ma mi ritrovo in un posto dove per strada lavorano i cinquantenni, la posta pare che te la consegni Babbo Natale e la commessa del fast food va per i sessanta abbondanti.

Ma non è certo tutto rose e fiori, ed i primi tempi son stati lacrime e poggia in egual
misura:

l’indifferenza, la solitudine, lo spettro della sconfitta morale e sociale come la scimmia sulle spalle, la paura di non farcela mista a quella vaga sensazione di star facendo la cosa giusta.

Ti serve tanto coraggio quanta fortuna, e se non ci metti il primo non aspettare invano la seconda;

ti serve un piccolo capitale iniziale, molto spirito d’adattamento ed il sostegno morale di chi ti sta accanto, ti serve pazienza, fantasia, quell’italianità che c’è in ognuno di noi, la costanza e la perseveranza, ma soprattutto la consapevolezza che il tuo futuro te lo devi costruire anche con scelte chirurgicamente dicotomiche.

Non sporcherò le righe di questo spazio nell’iperspazio per insultare la nazione che mi ha cresciuto, istruito, egregiamente nutrito ed economicamente sostenuto nella difficoltà, ma non mi si biasimi se non riesco a trovare parole d’elogio per le classi politiche che per decenni sono state incapaci di valorizzare le innumerevoli competenze dei propri cittadini, trasformando il nostro Bel Paese in un semplice formaggino:

son pure sempre un profugo per scelta obbligata, uno dei nostri tanti sparsi per il mondo.

Senza titolo

Ed entrare in un supermercato aperto ventiquattro su ventiquattro sette su sette,

ed uscirci senza attraversare barriere antitaccheggio ne posti di blocco,

e camminare per chilometri senza evitare cacche di cani sui marciapiedi

e continuare a camminare per ore senza sentire un clacson suonare

e giocare con il commesso a Come si dirà mai sedano in inglese

e non vedere gazzelle scorrazzare all’impazzata

e trovarsi la bocca impastata con parole che non vogliono uscire

e notare i locali affollati tutte le sere ed i carrelli stracolmi

e pensare che forse qua la crisi, forse ancora no

ed avere l’impressione di trovarti su un altro pianeta

e realizzare che no, sei solo ad un migliaio di miglia da casa

e nella stessa Comunità Europea.

Tredici euro spesi bene

Capita, a volte anche con fastidiosa e puntuale frequenza, di spendere denaro in libreria per comprare l’ultimo dell’arcinoto che da giorni è sulle labbra di tutti e di restarne insoddisfatti, o di seguire il consiglio letterario del critico fidato ottenendo lo stesso risultato.

Capita, altre volte, che tu abbia solo voglia di una lettura tanto intensa quanto veloce e non ti voglia ritrovare a pesare la grammatura del tuo ultimo acquisto valutando l’esorbitante costo del tuo volume per ogni singola pagina.

Ma può anche capitare che tu decida di dare credito al tuo istinto letterario ed al giudizio di uno sconosciuto, che ti ha astutamente incuriosito descrivendoti in poche righe una perla letteraria.

Ed allora potresti ritrovarti fra le mani un gioiello in centosettanta pagine senza fare fatica ad identificarti in uno dei molteplici personaggi descritti o riconoscere una qualsiasi delle conoscenze che hai finora incrociato nella tua vita.

A me è successo:

mi son fidato di una recensione del giornalista Christian Authier [Le Figaro] tradotta sul numero 1000 di Internazionale, acquistando per tredici euro La pazienza dei bufali sotto la pioggia:

letto in due fiati con ampie riletture continuo a ripetermi che bisogna esser si bravi a dipingere una così ampia varietà di soggetti in pochi caratteri e la congrua punteggiatura.

David Thomas
La pazienza dei bufali sotto la pioggia
Edizioni Marcos Y Marcos
Tedici euro spesi bene

Quello che non sopporto

Probabilmente non mi basterebbe tutto lo spazio che ho ha disposizione su questo server per elencare la quantità di cose che riescono ad irritarmi in questo periodo, cose che peraltro potrebbero anche non interessare ai più;

ad uso e consumo dei soli restanti curiosi però estrapolo dalla lista i vincitori ex-aequo di questa odiosissima competizione:

trattasi del Cercalo con GoogleL’ho letto su Wikipedia.

Ora, a scanso di equivoci, mi è d’obbligo precisare che non serbo rancore alcuno nei confronti della grande Enciclopedia libera ne, tantomeno, contro il re dei fagocitatori di tag ma la questione sta divenendo tanto preoccupante quanto irritante:

l’esortazione a cercare in rete qualsiasi informazione utilizzano QUEL motore di ricerca o QUELLA enciclopedia sta prepotentemente entrando nel nostro linguaggio verbale quotidiano facendoci pian piano dimenticare che la Rete consta di miliardi di informazioni ridondanti, che sarebbe opportuno sempre e comunque ricercarne le fonti evitando di fidarsi ciecamente di un unico documento, che libero non è sempre sinonimo di veritiero, che la libertà è facilmente manipolabile, che le ricerche possono essere pilotate, che esistono anche validissimi motori di ricerca poco sponsorizzati che, che, che…

Che sarei molto felice se il tutto si limitasse alle sole discussioni verbali ma tanto i giornalisti della stampa cartacea quanto quelli multimediali hanno iniziato a metterci lo zampino suggerendone allegramente [più o meno inconsapevolmente] l’utilizzo ed elevandoli implicitamente al rango di Detentori del Sapere.

Tutto ciò non mi pare bbuono;

il bello della Rete sta nella pluralità delle fonti che contiene e nella quotidiana possibilità che ci viene data di discernere, valutare, confrontare, ricercare, analizzare: sta a noi non permettere che la pigrizia omologhi i nostri risultati assopendoci la curiosità.

Io sono diverso

Si, io sono diverso;

forse non ci hai fatto caso nei millisecondi in cui ci siamo incrociati o magari la quotidianità del web ti ha distratto piuttosto che assuefatto o confuso:

c’è qualcosa di anomalo nel mio aspetto quindi è normale che tu ti senta disorientato e traduca la tua perplessità in un C’è uno strano nonsoche; magari la sobrietà del mio stile potrà farti presupporre una certa incompetenza ma le ragioni vanno oltre l’apparenza.

E’ una precisa scelta essere quello che sono perché io sono un sogno allo stato embrionale, amorfo ed indifferenziato con istruzioni precise e dettagliate sul divenire;

non considerare quindi la mia nudità estetica una mancanza inacettabile, ma una cortesia per i tuoi occhi:

ti voglio spensieratamente concentrato, non è mia intenzione distrarti inutilmente, e se ci siamo incontrati anche solo per qualche attimo voglio evitare di inquinare il ricordo che avrai di me aggredendoti con sorprese di cui io stesso faccio volentieri a meno.

Si, io sono diverso ma non voglio farti sentire un diverso, non ti discrimino per i tuoi gusti cybernautici o i tuoi orientamenti pubblicitari, quindi se pensi che il web senza ad-sense sia un nonsense o che non ci possa essere startup-senza pop-up per me sei benvenuto ugualmente:

avrai modo di ricrederti, pazientando un po’.